MARCHE – “I 14 avvisi di garanzia emessi per la disastrosa alluvione nelle Marche del settembre 2022 sono il risultato di una lunga attività di indagine nel cui merito non ci sentiamo di entrare. È giusto che la magistratura faccia il suo dovere senza essere strattonata da una parte o da un’altra, in una vicenda già di per sé dolorosa per la morte di 13 persone, limitandoci a considerare le vittime delle esondazioni del Misa e del Nevola”. Apre così il suo intervento Pietro Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche, prima di entrare in un tema delicato: quello della prevenzione. Secondo l’esperto, infatti, mancherebbe una cultura ad hoc per sanare un territorio bello e fragile come l’Italia, giocando d’anticipo su eventi che poi si rivelano spesso tragici.
“Noi siamo geologi: dei tecnici. E in questo senso ci colpiscono alcune delle omissioni ipotizzate dalla Procura. Ne citiamo tre: “l’omesso aggiornamento del piano comunale di protezione civile; il mancato presidio idrogeologico con il monitoraggio dei punti critici; la mancata informazione dei cittadini sui rischi idrogeologici”. Basterebbe questo per rendersi conto di quale sia il vero grande problema non solo della nostra regione, ma del nostro Paese: una scarsissima cultura della prevenzione – spiega il presidente -. A prescindere dal fatto che le accuse vengano o no confermate, l’abbandono del territorio è un tema di drammatica attualità e se non sono gli stessi amministratori locali a occuparsi di dissesto idrogeologico e informazione ai cittadini, davvero non vediamo come qualcuno possa sostituirsi a questi”.
E continua: “Conoscere è il primo passo per poter agire. È chiaro a tutti che, senza un presidio, senza un monitoraggio continuo del territorio non si possa neanche stilare un elenco delle priorità di intervento. Tra questi pensiamo anche a strumenti per monitorare in modo continuo i corsi d’acqua, che il 15 settembre del 2022 sono, in alcuni casi, drammaticamente mancati. Tuttavia va considerato anche un altro elemento: gli interventi di prevenzione sono, spesso, politicamente scomodi. Basti pensare alle delocalizzazioni, misure in un certo senso estreme, che si applicano dove non è possibile mitigare gli effetti degli eventi naturali. In un territorio fortemente antropizzato, dove per decenni si è costruito come se il territorio fosse una tabula rasa da riempire, è arrivato il momento di intervenire anche per riportare alcune aree – le più a rischio – allo stato precedente. Parliamo di vite umane”.